Avvenire 2/06/2009, Francesco Clemente

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FRANCESCO CLEMENTE
Napoli, Museo Madre – Naufragio con spettatore 1974-2004
Fino al 12 Ottobre 2009

Pamela Kort, curatrice della retrospettiva di Francesco Clemente, appena inaugurata al Madre di Napoli, ha titolato la mostra Naufragio con spettatore, facendo riferimento alla metafora utilizzata dal filosofo Hans Blumenberg nel titolo di una delle sue più conosciute pubblicazioni. Ha inteso spiegare tanto la fisionomia culturale dell’arte di Clemente, il suo nomadismo e la sua tensione ispirativa in bilico tra suggestioni dell’antico e ricerca contemporanea, quanto la sua forma espressiva, legata ad intuizioni che paiono catturare suggestioni precarie e contingenti, in qualche modo rivelative del suo universo fisico e spirituale. Ma di quale naufragio si tratta? Quello della cultura classica, suggerisce la Kort, di cui l’artista sentirebbe l’irriducibile fascino, e di cui ha colto nel trentennio della sua attività i frammenti, dispersi come rottami emergenti dalle onde di un oceano senza orizzonte. Di qui l’universo composito e multiforme dell’arte di Clemente, che si nutre di riferimenti erranti, che vanno dalla filosofia antica alla mitologia, dai simboli sacri all’esoterismo, alle figure dell’eros, recuperando altresì le suggestioni dei suoi viaggi, soprattutto in India e in Oriente, coniugandole con la memoria della sua origine partenopea, assegnando infine a questa memoria il significato emblematico della partenza e del ritorno. L’immagine interpretativa è indubbiamente fascinosa, pare per certi versi il tentativo di omologare nella cultura occidentale un’arte che è apparsa sino ad oggi comunque eccentrica nella sua tensione antifilosofica rispetto a quella tradizione di cui pure porterebbe la nostalgia. Nella sua lettura critica la curatrice sembra eludere ogni interpretazione psicologica dell’arte dell’artista napoletano. Eppure non si può non cogliere sullo sfondo della sua produzione espressionistica e surreale l’affanno della ricerca, dentro ed oltre la sua estrema libertà di segno: un affanno che è sintomo di un disagio partecipativo, piuttosto che di una distaccata visione, di cui le opere sono il tracciato, a cui fa da contrappunto e talora da paravento una vividezza inventiva e simbolica che fa di Clemente, indubbiamente, uno dei più interessanti ed emblematici artisti del dopoguerra. La mostra napoletana annovera più di cento opere, tra cui alcune inedite; è articolata in otto sezioni, che ripercorrono tutta la sua vita artistica a cominciare dagli anni Settanta. Una sezione speciale raccoglie dieci nuovi lavori, che portano il titolo di Heimat, un vocabolo tedesco che non ha corrispettivo in quello italiano e che indica il territorio in cui ci si sente a casa propria, perché in esso si è nati o si prova come un senso di appartenenza.
Giorgio Agnisola