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    L A B O R A T O R I O   D I   C R I T I C A   D ' A R T E     numero 2 - giugno 2012      
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Alberto Magnelli

Magnelli Alberto Magnelli, opere 1910-1970: esposizione di 164 lavori a Gaeta fino al 16 settembre

Valorizzare presso il grande pubblico uno straordinario artista italiano, uno dei padri dell'astrattismo europeo, che ha operato soprattutto in Francia pur amando la sua terra d'origine - sulla sua tomba ha voluto la scritta "Alberto Magnelli, pittore fiorentino" - è l'intento dell'importante mostra - curata da Giorgio Agnisola - che è possibile visitare fino al 16 settembre 2012 a Gaeta (LT).
Promossa dal Comune di Gaeta, dall'Associazione Culturale Novecento e da Monte-Carlo International Art, "Alberto Magnelli, opere 1910-1970" - allestita nella Pinacoteca Comunale d'Arte Contemporanea "Giovanni da Gaeta" - ha ottenuto i patrocini del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, della Regione Lazio, della Provincia di Latina e della Camera di Commercio di Latina.
La mostra è strutturata in sei sezioni principali - che ripercorrono le diverse fasi della produzione dell'artista - per un totale di centosessantaquattro opere esposte, tra dipinti, disegni, collages, linoleografie: Gli esordi e i primi anni Dieci (1910-1917), le "Esplosioni liriche" (1918-1919), il "Realismo Immaginario" (1920-1931), "Les Pierres éclatées" (1931-1935), l'opera astratta (1935-1970), i "Collages". Inoltre una sezione a latere, "Les Nourritures terrestres" (1942-1950), riguarda una serie di dieci litografie realizzate insieme da Jean Arp, Sonia Delaunay, Alberto Magnelli, Sophie Tauber-Arp.
"Rileggendo in prospettiva l'opera di Alberto Magnelli - spiega Agnisola - ci si accorge di come la sua cifra astratta non sia solo il risultato maturo di un processo di essenzializzazione del linguaggio, un conseguimento formale per quanto illuminato e innovativo, ma il compimento di una personale ricerca di equilibrio tra essere e sentire. I suoi rigorosi sviluppi compositivi si coniugano sempre infatti con forti risonanze interne in termini emotivi e psichici e infine spirituali. Non a caso lo stesso Magnelli non definiva la sua opera "astratta", ma "inventata", alludendo alla scoperta, al mistero che ogni vera opera d'arte disvela e protegge".

È disponibile in galleria un ampio catalogo pubblicato per l'occasione e che documenta in maniera dettagliata l'uomo Alberto Magnelli e la sua attività artistica.
Un apposito sito web (www.magnelli-gaeta.org) e una pagina facebook (Mostra Alberto Magnelli) sono riservati all'evento.
Scarica un estratto del catalogo

A sinistra: L'homme au chien, Florence 1922-23, huile sur toile

Giosè Bonsangue

Bonsangue 19 aprile 2012-5 maggio 2012 presso MOVIMENTO APERTO, in via Duomo 290/c, Napoli personale di Giosé Bonsangue: una serie di lavori realizzati negli ultimi anni, dodici dipinti di varie dimensioni e quattro sculture. La mostra è introdotta da un testo di Giorgio Agnisola, intitolato: Le sensibili declinazioni della forma e da un testo della stessa Bonsangue: Trasparenze solide. Sugli spessori. La mostra è a cura di Giorgio Agnisola.


LE SENSIBILI DECLINAZIONI DELLA FORMA
Giorgio Agnisola


Si nutre di un fine simbolismo l'arte astratta di Giosè Bonsangue, attenta come è alle strutture allusive dello spazio e alle sfumature di senso, interpretate da uno spartito visivo in cui forma e segno sono intrecciati in un dialogo sensibile e interno. La forma possiede in genere un suo assetto ampio e planare, quasi sempre morbido, evoca tanto elementi naturalistici che organici; il segno è viceversa lineare, non si lega alla forma in senso oppositivo, anzi vi si adegua sensibilmente, ne è traccia allusiva. La sintesi è raffinata, rigorosa, può leggersi come un racconto d'anima riflesso nello sguardo lirico e astratto. Lo spazio è presupposto fondante, ma non interviene direttamente nella struttura della composizione. E' infatti sfondo e primo piano. Sicché l'opera é quasi ovunque giocata in una zona intermedia, di spessore limitato. In questa zona visiva ristretta si consuma tutta una articolazione di piani che dialogano tra loro come in un mondo segreto, in cui i vuoti sono rilevanti quanto i pieni. Anzi sono soprattutto i vuoti, intesi come luoghi cromatici e soprattutto formali estesi tra i confini del segno e del piano, a tessere la trama dei rimandi psicologici e delle suggestioni emozionali. Come in alcune piccole sculture, in cui la sagoma dell'intaglio sulla superficie riflettente e geometrizzata caratterizza di fatto l'opera. I cromatismi in genere sono netti: sono il bianco e il nero essenzialmente, ma anche altri colori, e talora l'oro, che fa da sfondo e contraltare al bianco, come prospettiva antidecorativa e piuttosto espressiva di una indicazione interna di preziosità e di significato. Interessante è altresì la struttura dell'opera, ovvero la sua costruzione, fatta di piani sovrapposti e di ritagli formali e di accostamenti pensati secondo una legge compositiva che tende a ricostruire assetti evocativi anche in termini linguistici. In questo contesto l'opera assume differenti declinazioni. A volte suggerisce l'idea di attraversamento, di passaggio, a volte quella di accoglienza. In ogni caso la trama dell'opera appare una struttura intermedia tra il qui e l'oltre. Il segno lineare o descrittivo, quando è presente, ha una valenza psicologica, delinea percorsi apparentemente decorativi, sia pure in chiave astratta, in realtà definisce una percezione interna, costituisce una tessitura sensibile che ha il suo riflesso in un sotteso avvertimento emozionale. Questa rigorosa articolazione dell'opera si attenua nei disegni, in cui sembra prevalere l'aspetto sensitivo, anche in chiave organica. Il colore stempera il taglio contrastato delle forme assemblate, il disegno rincorre una sua più morbida evidenza, interpreta sfumati psicologicamente più complessi, più variegati. Ovunque la forma è segno, indicatore di uno mondo interno, che tuttavia resta sconosciuto, di cui non si conosce il segreto.
Giorgio Agnisola

Bonsangue TRASPARENZE SOLIDE
Sugli spessori
Giosé Bonsangue


Lavorare con gli spessori significa prima di tutto considerare la materia dal suo interno giungendo, attraverso logiche organizzative della forma, ad un dialogo strutturale con lo spazio esterno. L'attitudine operativa del "fare" secondo valori bidimensionali, nello specifico della mia ricerca artistica non può che collegarsi ad una attenta lettura dell'esistenza, dell'essere e delle sue relazioni. I piani che si susseguono assumono il carattere di materie organiche semi-assorbenti che introiettano valori e caratteri dell'esistenza, aggiustandoli secondo schemi che organizzandosi ne interpretano le qualità, siano esse buone o cattive. Ho lasciato da tempo il concetto di tridimensionalità sebbene abbia lavorato con esso a lungo, continuando in ogni caso a conviverci. La negazione della tridimensionalità è un processo che si può attuare solo per elevazione o meglio per spostamento d'asse del principio esistenziale. Essere nella tridimensionalità per naturale ragione fisica ed arrivare al principio della sua negazione è come riorganizzare e riordinare la grammatica della forma che da sempre, seguendo la sua logica, si è orientata al molteplice, al poliedrico. Infatti, i volumi e le corrispondenti superfici intercettano la mente del fruitore portandolo per mano verso direzioni che sono altro da sé. Nel procedere storico-artistico la tridimensionalità è un innegabile processo lineare, come dire che l'acqua si orienta per caduta dall'alto verso il basso, però è pur vero che per dinamiche particolari essa possa risalire in superficie invertendo così il suo naturale processo e vivificando in maniera diversa. Sebbene le dinamiche del pensiero risultino più complesse e variamente dislocate nel tempo e nei luoghi, ragionare con gli spessori significa vivere lo spostamento, considerare la bidimensionalità come una nuova grammatica della forma che è materia e, insieme, struttura compositiva e nuova chiave di lettura dell'esistenza. La bidimensionalità offre al fruitore la possibilità di dialogare con l'opera ponendosi in un confronto alla pari; l'opera, così, non accentra in sé verità proponibili ma orienta ad un esercizio creativo del pensiero individuale. L'opera e le sue ragioni si propongono, così, con attenta discrezionalità nello spazio fisico dell'esistenza.

GIOSE' BONSANGUE nata a Napoli nel 1962, vive e lavora a Napoli e Roma. Docente incaricata di "Plastica Ornamentale" presso le Accademie di Milano, Roma, Palermo e Napoli. Attualmente docente ordinaria di "Discipline Pittoriche" presso il Liceo Artistico di Napoli "S.S. Apostoli". Ha ricevuto riconoscimenti tra i quali:1988, I Premio concorso nazionale di pittura, Napoli; III Premio internazionale di scultura "Pietro Canonica", Roma; I Premio giovani artisti per la scultura, Torre del Greco (NA); 1989, I Premio per la scultura concorso "Liburia", Napoli; III Premio nazionale di pittura, Cava de' Tirreni (NA); I Premio per la scultura concorso "Salvo D'Acquisto", Napoli; 1993, III Premio internazionale di scultura "Bronzetto dantesco", Ravenna. Alcuni scritti:1990, lavoro originale "Strada per la Somalia"; 1991, lavoro originale "Dalla realtà oggettuale al non-oggetto"; 1992, lavoro originale "Percorso verso la decostruzione dell'oggetto", programma Gruppo NDE Nuova Dimensione Europea.Nel 1996 espone per la "I Annuale Accademie Europee" per i docenti dell'Accademia di Brera.Tra le esposizioni recenti: 2006 mostra "I cortili dell'Arte", Napoli; 2007 mostra collettiva di scultura "Acciaio amico", Maschio Angioino, Napoli; Rassegna internazionale di scultura "Liveri", Napoli; 2008 mostra "Il tempo liberato", Napoli; personale presso la "L.I.Art", Casina Giustiniani, Roma; 2009 mostra "Venere Mediterranea", S. Maria la Nova, Napoli; mostra "Bejing", Galleria Arte e Pensieri, Roma; mostra "Ut charta Artis", ass. L.I.Art e Fondazione Archivio Afro, Roma; mostra "Dalle stalle alle stelle", Galleria Arte e Pensieri, Roma; Progetto permanente "Comete e Cori Angelici", Comune di Saracinesco, Roma; 2011 mostra "Ultra Fines", Maschio Angioino, Napoli; mostra permanente "MITRHA", S. Maria Capua Vetere (CE), Museo Archeologico. Hanno scritto: G. Agnisola, M. Bignardi, A. Calabrese, P. D'Orazio, S. Gallo, P. Ricci bonsangue.giuseppina@email.it


Andrea Martone

Martone 25 marzo 2012 - 15 aprile 2012, presso MOVIMENTO APERTO, in via Duomo 290/c, Napoli personale di Andrea Martone: una serie di lavori realizzati negli ultimi anni, sculture e bassorilievi in gesso ceramico, rigorosamente bianco. La mostra è introdotta da un testo di Giorgio Agnisola e da un testo di Giorgio Di Genova, prelevato da Storia dell'arte italiana del'900, generazione anni Quaranta. La mostra è a cura di Giorgio Agnisola.

LA FORMA, LA MEMORIA, IL TEMPO
Giorgio Agnisola


La distinzione di Martone scultore è in quel suo incidere la forma, solcandola e fasciandola con un ritmo lineare, a strati, con solchi paralleli e regolari, curve, scanalature, torsioni, che evocano nelle soluzioni stilistiche tanto il mondo classico che la contemporaneità. E tuttavia si farebbe torto all'artista campano se si riducesse la lettura delle sue opere ad una semplice questione di registro visivo. L'arte di Andrea Martone, peraltro intrinsecamente segnata da una forte memoria contadina (lo si comprende leggendo a ritroso la sua opera fino alle prime sculture degli anni Settanta del secolo passato, bassorilievi soprattutto, in cui l'artista focalizzava la sua attenzione su aspetti e figure caratteristici della sua terra, Capodrise, centro agricolo dell'entroterra casertano, patria di Domenico Mondo ed Elpidio Jenco), si nutre in realtà di forti risonanze psicologiche, di temperati riflessi di una tensione emozionale e spirituale che sottende le scelte e le tecniche del suo linguaggio. Dietro e dentro la forma di Martone c'è insomma tutta una trasposizione psichica prima ancora che logico-intuitiva dell'opera, di cui la forma stessa traduce l'eleganza e la complessità semantica. Nel riflesso metaforico delle opere è possibile poi riconoscere suggestioni più biografiche e contingenti della vita dell'artista, come i campi arati della sua terra e persino certe memorie giovanili, come i solchi ricavati sulla tenera pietra di tufo dei carri che a sera tornavano dai campi recando fasci di canapa. Percorrendo le vie del territorio marcianisano e capodrisano ancora si individuano quei solchi, testimonianze indirette di un mondo segnato dalla dura fatica dei campi. Si vedono sul muri delle strade più strette, spesso ai limiti del centro urbano aperto alle campagne. È lo stesso artista a segnalarci questo sguardo, questa memoria. Ma accanto alla memoria c'è tutta una capacità astrattiva, coltivata nel tempo come una sintesi visiva di opposte inclinazioni, la grande esperienza figurativa per un verso, la forza visionaria per l'altro, visionaria e lirico-sensitiva. Lo testimoniano peraltro alcune sculture del maestro in cui l'assetto figurativo si percepisce sotto la superficie fasciata, in cui il profilo di un volto o di un corpo non viene mascherato, viene come rivestito, assumendo altra e variabile connotazione psicologica, più misteriosa, più solenne. E lo testimonia altresì la sua pittura così tramata di luce, così legata ad un gioco intimo di riverberi silenziosi, di interna poeticità. Lo testimoniano infine gli stessi disegni, in particolare gli schizzi a penna, felicissimi, giocati sull'onda di una visione ribaltata nella sensibilità, nello spazio lirico, colti non già nell'assetto realistico di forme e figure quanto nel loro vibrare silenzioso nello spazio di una realtà immaginata più che immaginaria. Martone è di fatto un artista libero, al di là di ogni riconoscibile assonanza stilistica non ha scuola, interpreta se stesso nel fondo riverberare di una felicità di personali intuizioni. La sua scultura è soprattutto questo, un sentire riflesso nella vita.

MartoneSTORIA DELL'ARTE ITALIANA DEL '900
Generazione anni Quaranta
Giorgio Di Genova


Altro scultore che alterna dipinti al suo lavoro plastico e che utilizza diversi materiali è il campano Andrea Martone, che, dopo opere con immagini, quali la tecnica mista con una giacca bianca appesa a un chiodo (il riposo del contadino, 1982) e i cinque pannelli in cemento colorato accostati orizzontalmente in Disgregazione della famiglia dell'anno successivo, nella metà degli anni Ottanta avvia la sua conversione al linguaggio aniconico. Ed a fornirgli la cifra espressiva del suo discorso plastico è il sollevamento di 90° degli elementi che, rispetto all'allineamento dei pannelli di Disgregazione della famiglia, determina sovrapposizioni in verticale dei bassorilievi a strati irregolarmente rettangolari, dapprima timidamente in gesso ceramico patinato (Piccolo campo arato, 1985), quindi in cemento patinato (Trittico campestre, 1986; Sezionamenti, 1987), cifra che, subito dopo dipinti con "vapori" neoinformali (Natura I, Natura II, 1991), interesserà anche gli acrilici a più tele sovrapposte verticalmente (Planimetria I, Planimetria II, 1992), in cui i " vapori" si fluidificano espressionisticamente. Tale cifra connoterà nel 1990 i circa due metri del gesso ceramico e ferro Sintesi, che appare come una verticale balla bendata, e nel 1992 i 4 metri del gesso ceramico Monumento familiare, dagli effetti del tutto differenti, sia per le superfici accidentate qua e là attraversate da fori che per la struttura di due accorpati pilastri di 7 moduli. Martone compone per strati o bande anche bassorilievi in bronzo, com'è il Monumento di Piazza del Comune in Capodrise 1998, in cui il verso dei ritmi è tuttavia verticalizzato, opera pubblica aniconica a differenza del bassorilievo in bronzo del '99 I martiri di Orta di Atella per il locale cimitero, che infatti è fittamente popolato di figure, per ricordare la fucilazione del 30 settembre 1943 da parte dei nazisti, raffigurati a destra, di 25 atellani, raffigurati nella parte sinistra mentre vengono falciati dalle raffiche dei fucili.

Andrea Martone, scultore, pittore, grafico ha al suo attivo una lunga carriera artistica, segnata da decine di mostre personali e dalla realizzazione di numerose, significative opere pubbliche, tra cui il Monumento ai Caduti di Capodrise, quello ai Partigiani di Orta di Atella, la statua della Madonna di Casapuzzano, il grande pannello in bronzo, collocato presso il Comune di Capodrise, il Monumento ai Caduti della Villa Comunale di S. Maria Capua Vetere, la Madonna in bronzo del Duomo di Formicola e un Monumento ai Caduti sul lavoro di Caserta. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private italiane e straniere. Vive e lavora a Capodrise (CE), in via Retella 61 - Tel. 0823 820416
sfondo
Art Construit: la struttura dell'invisibile

Art Construit L'ACI (Art Construit International) è movimento sorto nel 2001 in Francia e attivo espositivamente in numerosi paesi europei ed extraeuropei. L'orizzonte espressivo del gruppo appare a primo sguardo di tipo puramente razionalista, poco incline alle espansioni emozionali, anzi teso a ripercorrere geometrie del senso all'interno di strutture compositivamente rigorose, ispirate non di rado a principi logico- matematici. In realtà gli artisti aderenti al movimento non intendono, all'interno di una prospettiva definita costruttivista, prescindere da una tensione spirituale, anzi spesso la inglobano in un dettato visivo che finisce per assumere, per la sua stessa intensità espressiva e per la carica sottesa di sensibilità, un significato sostanzialmente simbolico. Una rassegna dei nomi più conosciuti sul piano internazionale del movimento si aprirà a Napoli il 14 giugno prossimo, presso il Padiglione Latino-Americano della Mostra d'Oltremare di Napoli. La mostra, curata da Giorgio Agnisola e Giuliana Albano, vede la partecipazione di: William Barbosa, Roger Bensasson, Joel Besse, Ania Borzobohaty, Omar Carreño, Saverio Cecere, Isabelle De Gouyon Matignon, Joao Galvao, Nicole Guyhart, Octavio Herrera, Hernan Jara, Enea Mancino, Renato Milo, Antonio Perrottelli, Francoise Pierzou, Ines Silva, Mario Stoccuto, Muneki Suzuki, Wolfgang Ulbrich.



Creatività, magia e spiritualità dell'arte africana

maschereInfluenze sull'arte occidentale del XX secolo
12 febbraio - 12 aprile 2012 Pinacoteca Comunale d'Arte Contemporanea "Giovanni da Gaeta"
Interventi critici di Giorgio Agnisola e Giuliana Albano hanno accompagnato i visitatori in un viaggio affascinante tra le tribù africane attraverso le 140 maschere esposte svelando i rituali, i costumi e la capacità di imprigionare gli spiriti nelle loro raffigurazioni che pur non nascendo per essere opere d'Arte lo diventano. La mostra ha anche la finalità di portare all'attenzione del pubblico le influenze sull'Arte occidentale, in particolare agli inizi del XX Secolo, da parte di un' arte definita "primitiva", considerata per secoli mero fatto di folklore e semplice testimonianza delle tradizioni del continente dove, non dimentichiamo, è nato l'homo sapiens. Il tutto impreziosito dall'esibizione del noto percussionista Karl Potter insieme con il Ventotene Percussion Group, il chitarrista Roberto Genovesi e Francesca Rasi.

maschereL'arte africana non è molto conosciuta. Certo se ne parla frequentemente, di essa vengono proposte numerose esposizioni, che purtroppo, però restano quasi sempre in un ambito per così dire folcloristico e artigianale. Raramente l'arte africana è oggetto d'indagine storico-artistica. La presente mostra raccoglie oltre centoquaranta maschere provenienti dalle aree più conosciute della produzione artistica africana e almeno in parte rappresentative della produzione del XIX e XX secolo. Assume dunque una rilevanza non effimera in vista di una ricognizione scientifica dell'arte del continente nero. La provenienza dei manufatti è quella di un collezionismo illuminato, che negli anni con cura, intuito e competenza ha raccolto opere significative anche sotto il profilo tematico e simbolico, ne è conseguita una mostra di grande suggestione aperta a possibili ulteriori sviluppi sull'indagine scientifica. Siamo grati, dunque, all'anonimo collezionista e rileviamo la grande intelligenza propositiva della Pinacoteca Civica che ha ideato la mostra.
Giorgio Agnisola e Giuliana Albano

PERCHÈ LE MASCHERE AFRICANE NON COPRONO IL VOLTO

In tempi remoti, prima della nascita delle civiltà storiche, l'uomo ha pensato la maschera. Essa dissimulava il volto nel vivo, copriva le fattezze in decomposizione dei morti, era scherzo, gioco e teatro, era carnevale e ricordo dei defunti, era scherno della vita ed immagine dell'aldilà.maschereMaschere del volto e del corpo, genitrici di nuove fattezze che in questa mutazione ricreavano nuove vite, permettevano fughe ed avventure in nascosti regni della psiche. Niente è umano quanto la maschera, sberleffo, tragedia e favola della nostra esistenza. Si, la maschera, testimonia l'umano bisogno di cambiare fattezze e comportamento, di cercare una dimensione inespressa o vergognosamente respinta e nascosta. Ogni cultura, ogni civiltà ha raccontato se stessa con le sue maschere, tuttavia le maschere delle Culture Africane hanno, a me pare, una potenza evocative, una urgenza espressiva e formale unica e singolare.

Esse non coprono il volto, o meglio, la loro funzione non è quella di coprire il volto, la loro natura è più inquietante ed arcana, esse sono una sorta di antenna cosmica puntata verso il mistero, sono l'equivalente di un rito sacro in cui la maschera diviene il luogo in cui si ricevono gli invitati dell'aldilà, gli antenati, i fantasmi della boscaglia e della foresta, gli spiriti inquieti malvagi o benigni. La funzione dello scultore Africano non è quella di inventare una forma ma di sentire una forma già presente nel regno immateriale degli spiriti che viene traslata in immagine visibile. Lo scultore africano è una sorta di sciamano della forma che rende visibile ma non crea. Per noi occidentali, tuttavia, non vi è un "frastuono" degli spiriti de ascoltare, ma anche attorno a noi vive il mistero, l'insondabile, assurdo, mistero che circonda la vita e l'arte di queste incredibili maschere dell'Africa ci fa sentire, a filo di pelle, questa sorta di vento misterioso che invade le menti dei grandi artefici Africani quando rivolgono la loro mente verso le regioni misteriose dell'aldilà.
Il Collezionista

GENESI DI UNA MOSTRA

Il caso o le circostanze costituiscono, spesso, elementi fondamentali e l'origine di tante vicende umane, che sta poi a noi renderle piccole o grandi storie. Così avviene anche per questa mostra dedicata all'Africa e alla sua cultura, la terza per la nostra Pinacoteca. Fine estate 2011: stiamo organizzando una mostra di Mario Persico quando entriamo in contatto e nella simpatia di un collezionista di opere del maestro napoletano. In uno degli incontri avvenuti nel periodo della mostra egli ci parla, con garbo e trattenuto entusiasmo, di un'altra sua preziosa collezione: di maschere africane, selezionate e scelte con cura nell'arco di un trentennio. Incuriositi gli chiediamo di farci vedere qualche esemplare. Il nostro non si fa attendere e qualche giorno dopo arriva in Pinacoteca con alcuni scatoloni e altri oggetti dalle forme indefinite, avvolti alla meglio nella carta ingiallita e legati con spago. Li apriamo. Restiamo letteralmente sorpresi dall'energia che quegli oggetti emanano. maschereQuella dozzina di maschere rimane in Pinacoteca per un bel po' e noi non perdiamo occasione per sottoporle al giudizio di critici ed operatori culturali, riscontrando sempre apprezzamento e meraviglia. Tali reazioni d'entusiasmo ci convincono definitivamente ad organizzare la mostra che l'amico collezionista ci aveva, con estrema discrezione, proposto. Lo contattiamo, c'incontriamo, gli esprimiamo il nostro interesse alla mostra e definiamo particolari e data.

Nel giro di qualche settimana i depositi della Pinacoteca si riempiono di scatole e imballaggi strani: circa centoquaranta maschere, come reperti archeologici tornati alla luce dopo anni di sepoltura, vengono man mano liberati dagli orpelli che paradossalmente ne assicuravano l'incolumità e prendono possesso delle stanze della Pinacoteca. Come delle star, vengono fotografate dall'amico Mauro Meschino che non poche difficoltà incontra per trovare la giusta luce e inquadratura, ma alla fine le conquista per immortalarle nel catalogo. Disponiamo poi con cura le maschere sul pavimento per trovare il criterio giusto di allestimento prima di rendere loro la definitiva dignità espositiva. A questo punto ci chiediamo il significato da attribuire all'esposizione e l'obiettivo da perseguire: dopo tutto ci troviamo in una pinacoteca d'arte contemporanea e troviamo inopportuno puntare sul solo aspetto antropologico nel quale non ci sentiamo competenti, né ci è d'aiuto un tentativo di coinvolgere una struttura museale specializzata della capitale che si tiene "cortesemente" alla larga rimanendo nell'olimpo del suo isolamento. maschereGiorgio Agnisola, il nostro maestro, trova la giusta chiave di lettura che una mostra del genere deve avere in una pinacoteca: l'aspetto artistico dei manufatti, la creatività, la naturale sapienza nelle distribuzione dei volumi, la maestria geometrica degli anonimi artisti e le tante attinenze con le grandi innovazioni dell'arte occidentale del Novecento; "Creatività, magia e spiritualità dell'Arte africana - Influenze sull'arte occidentale del XX secolo", è questo il titolo giusto! Giorgio ci da sicurezza e si mette anche a disposizione insieme alla sua preziosa e giovane collaboratrice, Giuliana Albano, per la cura del catalogo. A questo punto non può mancare un breve video che sia una sintetica guida alla mostra. Sviluppiamo il testo al quale Sandra Cervone è pronta a dare voce e Tonino Falanga corpo.

Il 12 febbraio s'inaugura la mostra in una folta cornice di pubblico, con il gradito intervento musicale, appropriato e molto apprezzato, del percussionista di fama internazionale Karl Potter e del Ventotene Percussion Group. La mostra suscita fervido interesse ed il passaparola diventa efficace mezzo pubblicitario e motivo di soddisfazione per noi ed il collezionista che può finalmente ammirare le "sue opere" , non nella penombra dei tanti polverosi ripostigli di fortuna dove era confinata la sua "passione", ma in un sito espositivo adeguato ove condividere le ragioni di un viaggio culturale con altri.
Associazione Culturale Novecento

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CriticArte, allegato di Artepresente, è un foglio online del laboratorio di ricerca Artepresente, che si occupa principalmente di critica d'arte contemporanea. Il laboratorio si occupa oltre che di critica d'arte anche di ricerca storico-artistica e di didattica dell'arte. Indirizzi particolari riguardano il rapporto tra Arte e Psicologia e tra Arte e Sacro. A proposito di quest'ultimo ambito, il laboratorio indaga specificamente l'Arte Sacra Contemporanea e la sua collocazione nei luoghi di culto con il progetto Arteinchiesa. Tra le iniziative del laboratorio gli Incontri Internazioni di Critica d'Arte.

fotoGiorgio Agnisola gagnisola@libero.it. Critico d'arte, giornalista, saggista. Insegna Arte Sacra presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, sez. San Luigi, presso cui è condirettore della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia. Collabora da molti anni alle pagine culturali del quotidiano "Avvenire" e in particolare alla pagina "Arte" e al supplemento mensile di itinerari, arte e cultura "Luoghi dell'infinito". Ha operato a lungo come consulente d'arte moderna e contemporanea presso i Paesi francofoni d'Europa. Ha scritto numerosi libri. Tra gli ultimi, Viaggio nell'opera, vedere e sentire l'arte, Moretti & Vitali 2005, La pietra e l'angelo, Guida 2007, L'oltranza dello sguardo, Il pozzo di Giacobbe 2010. E' membro dell'Associazione Internazionale Critici d'Arte e della Société Internationale de Psychopathologie de l'expression.

fotoGiuliana Albano albano.giuliana@libero.it. Storica dell'arte e critico d'arte. Collabora dal 2009 come corrispondente dalla Campania del "Il Giornale dell'Arte" e inoltre scrive per la rivista online Artepresente. Pubblica interventi su cataloghi, riviste, libri in particolare sull'arte moderna e contemporanea; ha partecipato all'organizzazione e alla ricerca scientifica di numerose mostre. Collabora con la Soprintendenza per i Beni Architettonici di Napoli e Provincia e dal 2007 con la Soprintendenza Archivistica per la Campania come archivista. Insegna Iconografia Sacra Contemporanea presso la Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, sezione S. Luigi.

fotoMary Attento m.atten@tin.it. Giornalista professionista dal 1998, è stata redattrice di emittenti televisive, periodici e quotidiani e collaboratrice del Mattino. Attualmente è direttore responsabile della rivista di lettere e arti, società e comunicazione Artepresente e coordinatrice redazionale del periodico nazionale Guida ai libri. Da oltre dieci anni si occupa di rapporti con la stampa nel settore culturale e medico-sanitario, ma anche nel campo politico, economico-sociale, turistico e ambientale. Dal 2003 - escluso un breve periodo - è responsabile Comunicazione della Casa di cura "San Michele" di Maddaloni (CE). Parallele agli incarichi di uffici stampa e relazioni pubbliche, l'attività di relatore a incontri culturali e scientifici anche di respiro nazionale. Altro luogo di impegno è l'editoria, che la porta a fondare e amministrare una casa editrice a Caserta nel 1999. Successivamente passa, con l'incarico di responsabile della sigla Lettere Italiane, al gruppo editoriale e librario Guida. È docente nel settore comunicazione/giornalismo ed editoria. È impegnata nel sociale e nella vita associazionistica.

fotoMichele D'Alterio dharma@dharma.it, nato a Caserta, si è diplomato nel 1990 all'Accademia di Belle Arti di Napoli sotto la guida del Maestro Armando De Stefano. Svolge attività di insegnamento in scuole pubbliche e presso enti privati della provincia di Caserta nelle materie Discipline Grafiche e Pittoriche e Computer Grafica. Si occupa, oltre che di pittura, di grafica, illustrazione, web design, fotografia, video e multimedialità. Nel 1998 ha creato a Caserta lo Studio Dharma dove opera come grafico creativo.

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